di Luigi Mariano Guzzo
Non sarebbe corretto guardare al patrimonio culturale, anche a quello di interesse religioso, esclusivamente nella sua dimensione materiale. Per “patrimonio culturale”, infatti, intendiamo tanto i beni culturali quanto i beni naturali o ambientali, pure nelle loro espressioni immateriali. Di ciò possiamo trovare conferma anche nella Chiesa cattolica, se guardiamo all’esperienza dei “Parchi Culturali Ecclesiali”. Si tratta di un progetto nato dall’idea di Giovanni Gazzaneo, coordinatore di “Luoghi dell’infinito”, il mensile del quotidiano “Avvenire”, e sviluppato dall’Ufficio Nazionale della Conferenza Episcopale Italiana per la Pastorale del Tempo libero, Turismo e Sport.
A ben vedere, pare che questi Parchi rappresentino un’istituzione propria dell’ordinamento ecclesiale da ricondurre, in via più generale, ai sacred natural sites, che possono essere intesi come aree naturali (di terra o di acqua) sulle quali insistono specifici valori culturali e spirituali, nonché beni materiali di importanza storica, da tutelare e da valorizzare, di modo che la stessa protezione della sacralità del luogo è funzionale alla conservazione della biodiversità.
Nello specifico, la locuzione di “Parco Culturale Ecclesiale” sta a significare un “sistema territoriale che promuove, recupera e valorizza, attraverso una strategia coordinata e integrata il patrimonio liturgico, storico, artistico, architettonico, museale, ricettivo, ludico di una o più Diocesi”, leggiamo nelle nuove Linee-guida di settembre 2018 (“Bellezza e speranza per tutti”) che riprendono le Linee-guida precedenti, del febbraio 2016 (“Il Parco Culturale Ecclesiale”), definendone anche le procedure di riconoscimento.
Le prospettive pastorali che si intendono portare avanti sono molteplici. Innanzitutto, quelle di un’evangelizzazione la cui “novità” sia segnata dalla ricerca di itinerari di senso e di bellezza, come sembra suggerire anche Papa Francesco quando, nell’Evangelii Gaudium (par. 167), chiede che “ogni catechesi presti una speciale attenzione alla via della bellezza (via pulchritudinis)”. Poi, la promozione di un turismo religioso sostenibile, consapevole di uno sviluppo culturale, economico e sociale del territorio. Senza dimenticare, inoltre, la necessità di custodire e, particolarmente in alcuni territori, “purificare” le forme della religiosità popolare, cioè i riti, le tradizioni, le espressioni devozionali che sono parte integrante della cultura e dell’identità di una comunità. In tal modo la Chiesa si propone cosi trasformare ogni territorio in un “Locus Luci”. Un luogo della Luce, insomma, in cui si offre “un’esperienza straordinaria e speciale, quanto più personalizzata possibile e animata da una grande capacità di narrazione, per alimentare la vita e la speranza di chi incontra, promuovendo lo sviluppo della persona nella sua totalità” (par. 4 delle Linee-guida 2018).
L’iniziativa rappresenta un esempio dell’importanza di rintracciare nuovi strumenti per la protezione e la valorizzazione del patrimonio culturale, soprattutto di quello di interesse religioso, in un’accezione che propone percorsi sempre più in grado di integrare le dimensioni materiali e immateriali, insieme alla promozione dei valori culturali, naturali e spirituali che ne stanno alla base.
Di questo parleremo anche al Campus di Piacenza, tra qualche giorno…